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Tecnologia con l'Italia della liretta

 

La Olivetti aprì un negozio a New York nel 1954, quando Steve Jobs e Stephen Wozniak, i futuri fondatori della Apple, avevano rispettivamente 1 e 4 anni. Lo showroom della Olivetti era uno dei negozi più belli della Fifth Avenue nella New York degli anni 50.
Nel 1979 la Olivetti aprì anche una sede a Cupertino, nella Silicon Valley, dove pochi anni prima era nata la Apple. L'Olivetti Advanced Technology Center di Cupertino aveva anche una sezione ricerca dedicata all’intelligenza artificiale.
 

Vale la pena ricordare questi dettagli per rendere l’idea dell’enorme vantaggio tecnologico che l’azienda di Ivrea aveva accumulato sugli americani (in Europa non c’era partita, la Olivetti negli anni 80 fu il primo produttore di PC, il terzo al mondo, creando i primi portatili con microprocessori) che arrivarono anni dopo a comprendere certe “visioni”.
E lo fecero grazie a noi italiani (cioè copiandoci). Altro che "mafia, pizza e mandolino" come una certa vulgata mediatica ha descritto il Paese e i suoi abitanti negli ultimi decenni.
Ai giovani va spiegato chi erano Adriano e Roberto Olivetti, chi è Federico Faggin (inventò tra le altre cose il primo microprocessore della storia e la tecnologia touch) e che contributo diede il nostro Paese alla rivoluzione informatica.
 
La NASA utilizzò un elaboratore italiano, il P101 della Olivetti, per calcolare le orbite dei viaggi spaziali (compresa quella dell’Apollo 11). Si tratta del primo personal computer della storia. Paradossale che a scuola tutto questo non sia inserito nei programmi didattici.
In Europa nessun gruppo industriale può vantare ciò che fece la Olivetti nel dopo guerra. Un'azienda gioiello del sistema industriale italiano che fu, a partire dal 1992, prima ridimensionata e poi quasi smantellata in seguito alla fase di svendita dei “gioielli di famiglia” che interessò il nostro Paese. Un’Italia economicamente troppo forte avrebbe disturbato i piani strategici a certe latitudini.
 
Va riscoperta la storia industriale del Paese, perché, come sosteneva Enrico Mattei, gli italiani possono e devono esportare tecnologia e idee, non braccia. Non siamo costretti a esportare manovalanza, più o meno a basso costo.
Molti italiani sono all’oscuro della vera forza dell’Italia industriale post bellica, quella del trentennio glorioso. Di questo strisciante auto-razzismo anti-italiano se ne lamentava già Enrico Mattei nel 1961.
A tutto questo va posto rimedio.
 
*** Articolo creato da un post di Giuliano Radiciotti

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