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I confini nazionali, baluardo dell'autodeterminazione

I confini nazionali sono qualcosa di imprescindibile per la definizione stessa di Stato: averne un controllo capillare non può che essere una priorità per una politica degna di questo nome. La regolazione dei flussi migratori è necessaria innanzitutto per tutelare la coesione sociale di un Paese. Se è vero che nei momenti di crescita un’immigrazione – ben modulata – costituisce una risorsa preziosa, non c’è dubbio che durante le contrazioni del ciclo economico questa possa innescare drammatiche conseguenze sociali. Vale poi la pena soffermarsi su una riflessione: sebbene uno Stato d’arrivo che disponga della sovranità monetaria abbia tutti gli strumenti per garantire la piena occupazione e possa trarre il massimo profitto dal processo migratorio, gli Stati di partenza rimangono comunque piagati dal dramma dell’emigrazione di massa. 

 

 Video del 2017


Questi Paesi, perlopiù vittime del giogo neocoloniale, vengono in questo modo depauperati dell’unica ricchezza rimasta a loro disposizione: i giovani. Oggi la lotta per l’autodeterminazione dei popoli passa proprio attraverso il controllo dei confini, esercitato nei confronti di merci, persone e capitali.
Gestirli accuratamente non significa solo salvaguardare le identità e le culture nazionali, ma vuol dire soprattutto difendere l’insindacabile diritto di tutti gli uomini di poter vivere nel proprio Paese. Al controllo dei confini deve accompagnarsi l’impegno per la massima integrazione possibile degli stranieri che lavorano nel nostro Paese, a tutela sia degli immigrati che della costruzione di un mercato del lavoro trasparente e non duale, coerente con l’obiettivo della piena occupazione.

(Tratto dal manifesto Italexit del 2020)

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